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03/06/2022 - 16:18
AVREI VOLUTO DARLE DEL TU...
AVREI VOLUTO DARLE DEL TU...
Caro Mister,
le scrivo da tifoso e non da giornalista quasi neofita, per prima cosa perchè ho il Grifo nel cuore e poi perché, lei non lo sa, anche se un giorno glielo avrei voluto dire di persona, il mio lavoro principale è un altro e l'attività per cui mi ha conosciuto è frutto dell'immenso amore che provo per i colori biancorossi. Tanti i sacrifici su e giù per l'Italia in compagnia di Roberto, il Bomber, come tutti lo conoscono, ormai, da decenni, perché, al di là del desiderio di continuare a crescere a livello professionale, c'era la voglia di esserci sempre per vedere quella gloriosa maglia che un tempo fu di Paolo Rossi e di un certo Renato Curi. Il piccolo grande uomo che ha dato il nome ad uno stadio che oggi sembra cadere a pezzi, ma che, una volta, faceva tremare le gambe a qualunque avversario.
Vede, non è un caso che ho parlato di casacche e non di chi le indossa, perché, parliamoci chiaro, lei lo sa meglio di me, gli attori di adesso, che accendono l'interruttore della passione adrenalinica, non hanno nulla a che vedere con quelli del passato. Uomini, appunto, ancor prima che calciatori, quando il calcio, romantico come i nostalgici prediligono definirlo, era davvero espressione di un popolo, una ragione di vita in cui immedesimarsi, perché chi scendeva in campo aveva la capacità di dare un senso alla monotonia di una settimana di affanni quotidiani.
Ma lei, grazie alla sua genuinità e a quella sensazione di persona perbene che trapelava ogni volta che si relazionava con tutti, tifosi, giocatori, dirigenti e giornalisti, ci aveva conquistato.
E questo al di là delle sue conoscenze tecnico tattiche e strategie calcistiche curate in modo, oserei dire, maniacale.
Ci aveva fatto ricredere che anche in un calcio multimediale e globalizzato, dominato, esclusivamente, dagli interessi economici e sempre più lontano dalla gente come quello di oggi, potesse esserci ancora spazio per dei sentimenti veri. Sa, ormai siamo un po' tutti disillusi, dopo le batoste prese negli ultimi anni, non ci leghiamo più a nessuno o quasi, ma con lei la Curva era tornata a sciogliersi e sbilanciarsi; le sue premure quasi paternali, i suoi elogi, perfino la sua commozione stavano ricreando un qualcosa di veramente speciale.
Ciò che mi risulta indigesto da comprendere è che lei ha sempre parlato di percorso di crescita e di gruppo in ogni sua conferenza, di attaccamento, di giocarsela fino all'ultima goccia di sudore contro chiunque, come, appunto, è stato fino al preliminare dei play off, valori che incarnano da sempre chi tifa il Perugia e chi ne indossa la maglia con il Grifo sul petto, salvo, poi, scegliere di uscirne.
Le confesso che sto provando un profondo dispiacere, come uno choc, perché le credevo e le ho voluto bene. Penso si possa dire.
Le credevo, come quando a Como l'ho vista sconsolato e negli spogliatoi le ho abbozzato qualche frase per rassicurarla, oppure quando a Cosenza rispose ad una mia domanda con quel toscaneggiante " non ho fatto punto turnover", perché considerava tutti sullo stesso piano e mi sono sentito davvero lusingato per avermi ringraziato nella conferenza stampa della partita successiva, proponendomi un caffè, che, pensavo, di poter, finalmente, prendere con lei quando sarebbe partito per il nuovo ritiro.
Non volevo deluderla e, forse, anche per questo ho fatto i salti mortali tutto l'anno, tagliando la Penisola in diagonale pur di presentarmi all'appuntamento del dopo partita per chiederle quello che la mia testa mi diceva di chiederle, correndo anche il rischio di farla arrabbiare. Ma oggi sono io a sentirmi amareggiato, a tal punto che ho la tentazione di smettere di pensare che esista ancora un motivo valido per cui continuare a svolgere la "missione" che ho intrapreso. Se non la follia di ritenere il Grifo al di sopra di tutto.
Ha scelto la fredda e nebbiosa Cremona, nonostante avesse già sottoscritto un pezzo di carta che dovrebbe ancora avere un valore in questo mondo, ha scelto la serie A "facile", non conquistata sul campo, perché tanto, dopo il "rompete le righe", lo sa meglio di me che gli unici a prenderla in quel posto sono i tifosi verso cui lei stesso ha più volte espresso parole di ammirazione e dichiarato, apertamente, amore.
Mi duole dirglielo, ma Perugia è davvero altro, ben più di quel Real Madrid in cui riteneva di trovarsi a completamento di una lunga e dignitosa gavetta.
Sa, non vinceremo mai lo scudetto, anche se ci andammo molto vicino quando ancora si concorreva tutti ad armi pari, ma, come disse il grande Paolo Sollier:
"Essere figli di questa città e' un onore, non amarla e' un delitto, non tifare Perugia e' un insulto.."
Una pietra miliare che racchiude l'essenza di cosa significhi vivere qui, calpestare quel prato glorioso, soffrire e gioire insieme alla sua gente.
E non potrà mai esserci carriera o miglioramento economico che tenga, le assicuro, quando si prova il vero amore, o quando si sposa un progetto e ci si giochi tutto se stessi. Un privilegio, evidentemente, per pochi eletti, quelli che verranno menzionati per sempre e i cui nomi resteranno scolpiti tra i ricordi indelebili.
Peccato, avrebbe potuto esserci anche il suo, ma finirà per essere rammentato più per il modo con cui ha abbandonato la nave, che per lo splendido viaggio appena terminato.
Comunque mancherà.
Alessio Torzuoli
Per Perugia2005News Alessio Torzuoli
RIPRODUZIONE VIETATA
foto Roberto Settonce Photo Agency (riproduzione vietata)
le scrivo da tifoso e non da giornalista quasi neofita, per prima cosa perchè ho il Grifo nel cuore e poi perché, lei non lo sa, anche se un giorno glielo avrei voluto dire di persona, il mio lavoro principale è un altro e l'attività per cui mi ha conosciuto è frutto dell'immenso amore che provo per i colori biancorossi. Tanti i sacrifici su e giù per l'Italia in compagnia di Roberto, il Bomber, come tutti lo conoscono, ormai, da decenni, perché, al di là del desiderio di continuare a crescere a livello professionale, c'era la voglia di esserci sempre per vedere quella gloriosa maglia che un tempo fu di Paolo Rossi e di un certo Renato Curi. Il piccolo grande uomo che ha dato il nome ad uno stadio che oggi sembra cadere a pezzi, ma che, una volta, faceva tremare le gambe a qualunque avversario.
Vede, non è un caso che ho parlato di casacche e non di chi le indossa, perché, parliamoci chiaro, lei lo sa meglio di me, gli attori di adesso, che accendono l'interruttore della passione adrenalinica, non hanno nulla a che vedere con quelli del passato. Uomini, appunto, ancor prima che calciatori, quando il calcio, romantico come i nostalgici prediligono definirlo, era davvero espressione di un popolo, una ragione di vita in cui immedesimarsi, perché chi scendeva in campo aveva la capacità di dare un senso alla monotonia di una settimana di affanni quotidiani.
Ma lei, grazie alla sua genuinità e a quella sensazione di persona perbene che trapelava ogni volta che si relazionava con tutti, tifosi, giocatori, dirigenti e giornalisti, ci aveva conquistato.
E questo al di là delle sue conoscenze tecnico tattiche e strategie calcistiche curate in modo, oserei dire, maniacale.
Ci aveva fatto ricredere che anche in un calcio multimediale e globalizzato, dominato, esclusivamente, dagli interessi economici e sempre più lontano dalla gente come quello di oggi, potesse esserci ancora spazio per dei sentimenti veri. Sa, ormai siamo un po' tutti disillusi, dopo le batoste prese negli ultimi anni, non ci leghiamo più a nessuno o quasi, ma con lei la Curva era tornata a sciogliersi e sbilanciarsi; le sue premure quasi paternali, i suoi elogi, perfino la sua commozione stavano ricreando un qualcosa di veramente speciale.
Ciò che mi risulta indigesto da comprendere è che lei ha sempre parlato di percorso di crescita e di gruppo in ogni sua conferenza, di attaccamento, di giocarsela fino all'ultima goccia di sudore contro chiunque, come, appunto, è stato fino al preliminare dei play off, valori che incarnano da sempre chi tifa il Perugia e chi ne indossa la maglia con il Grifo sul petto, salvo, poi, scegliere di uscirne.
Le confesso che sto provando un profondo dispiacere, come uno choc, perché le credevo e le ho voluto bene. Penso si possa dire.
Le credevo, come quando a Como l'ho vista sconsolato e negli spogliatoi le ho abbozzato qualche frase per rassicurarla, oppure quando a Cosenza rispose ad una mia domanda con quel toscaneggiante " non ho fatto punto turnover", perché considerava tutti sullo stesso piano e mi sono sentito davvero lusingato per avermi ringraziato nella conferenza stampa della partita successiva, proponendomi un caffè, che, pensavo, di poter, finalmente, prendere con lei quando sarebbe partito per il nuovo ritiro.
Non volevo deluderla e, forse, anche per questo ho fatto i salti mortali tutto l'anno, tagliando la Penisola in diagonale pur di presentarmi all'appuntamento del dopo partita per chiederle quello che la mia testa mi diceva di chiederle, correndo anche il rischio di farla arrabbiare. Ma oggi sono io a sentirmi amareggiato, a tal punto che ho la tentazione di smettere di pensare che esista ancora un motivo valido per cui continuare a svolgere la "missione" che ho intrapreso. Se non la follia di ritenere il Grifo al di sopra di tutto.
Ha scelto la fredda e nebbiosa Cremona, nonostante avesse già sottoscritto un pezzo di carta che dovrebbe ancora avere un valore in questo mondo, ha scelto la serie A "facile", non conquistata sul campo, perché tanto, dopo il "rompete le righe", lo sa meglio di me che gli unici a prenderla in quel posto sono i tifosi verso cui lei stesso ha più volte espresso parole di ammirazione e dichiarato, apertamente, amore.
Mi duole dirglielo, ma Perugia è davvero altro, ben più di quel Real Madrid in cui riteneva di trovarsi a completamento di una lunga e dignitosa gavetta.
Sa, non vinceremo mai lo scudetto, anche se ci andammo molto vicino quando ancora si concorreva tutti ad armi pari, ma, come disse il grande Paolo Sollier:
"Essere figli di questa città e' un onore, non amarla e' un delitto, non tifare Perugia e' un insulto.."
Una pietra miliare che racchiude l'essenza di cosa significhi vivere qui, calpestare quel prato glorioso, soffrire e gioire insieme alla sua gente.
E non potrà mai esserci carriera o miglioramento economico che tenga, le assicuro, quando si prova il vero amore, o quando si sposa un progetto e ci si giochi tutto se stessi. Un privilegio, evidentemente, per pochi eletti, quelli che verranno menzionati per sempre e i cui nomi resteranno scolpiti tra i ricordi indelebili.
Peccato, avrebbe potuto esserci anche il suo, ma finirà per essere rammentato più per il modo con cui ha abbandonato la nave, che per lo splendido viaggio appena terminato.
Comunque mancherà.
Alessio Torzuoli
Per Perugia2005News Alessio Torzuoli
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